No, le IA generative non sono un altro strumento a supporto dei creativi

Faccio la mia solita premessa, perché non è mai sufficiente continuare a ribadire un concetto molto importante: ciò che chiamiamo Intelligenze Artificiali, non sono dei sistemi “intelligenti” in grado di creare qualcosa dal nulla, né di giudicare il proprio elaborato. Sono sistemi statistici, che lavorano elaborando massicce quantità di dati per creare un “algoritmo” che, a sua volta, elabora un’informazione in ingresso e ne restituisce un risultato che, statisticamente, si avvicina a ciò che è stato richiesto. Tant’è che il termine più corretto sarebbe “Machine Learning” e il termine IA viene utilizzato in modo estremamente improprio perché… beh: Marketing.

Dopo questa breve digressione attorno alla definizione, torniamo al tema principale:

“è la stessa cosa di quando sono arrivate tutte le altre tecnologie digitali a supporto dei creativi: come i fotografi tradizionali rispetto a quelli digitali, come gli illustratori tradizionali con il digitale”

Da un lato una cosa va detta: la tecnologia rivoluziona il mondo in cui viviamo e il modo in cui svolgiamo il nostro lavoro. Ancora alla fine dello scorso millennio, che sarebbe 24 anni fa, i giovani di quel periodo erano entusiasti di poter inviare SMS per risparmiare sulle telefonate. Oggi gli SMS sono così obsoleti da essere guardati con sospetto per definizione. Questo per dire che, in linea generale, la tecnologia è uno strumento che dovrebbe essere messo a disposizione dell’umanità per semplificare o elevare il livello di qualità della vita.

E per molte cose lo ha fatto.

È possibile che quando arrivarono i primi fotografi nel diciannovesimo secolo, i pittori e paesaggisti si sentirono minacciati da questa nuova tecnologia che avrebbe “tolto loro il lavoro”. Niente più ritratti di persone né famiglie. Dal 1826, data a cui risale la più antica fotografia conservata ad oggi, di quadri ne sono stati fatti a migliaia. Anche i fotografi sono migliorati, spesso e volentieri per volere dei fotografi stessi: gli apparecchi hanno subito una continua evoluzione tecnologica il cui fine era quello di realizzare strumenti sempre più precisi e affidabili. Probabilmente ci sarà qualche amante della fotografia tradizionale, intesa come “originale”, tuttavia non si vedono in giro fotografi con lampade al fosforo e che sviluppano le fotografie su seppia.

Al pari, gli illustratori si sono evoluti con il tempo e hanno – loro stessi – creato nuovi strumenti per il disegno. Fin dall’antichità l’uso di squadre e compassi sarebbe potuto essere considerato un affronto alla “tradizione”, così come il passaggio dalle incisioni su tavole in pietra al passaggio sulla carta.

Con l’avvento dell’informatica e del calcolo elettronico siamo arrivati ad avere strumenti straordinari che hanno “messo a repentaglio” il lavoro di illustratori e grafici “tradizionali” (su carta, per intenderci), con tutte le paure e timori di perdere il lavoro, sostituiti “dai computer”.

Non è successo.

Il digitale ha dato vita ad una straordinaria quantità di lavori e contenuti nuovi, rendendo accessibile a molte più persone un mondo che, prima, era inaccessibile. Per fare un esempio musicale, a fine anni ‘90 dello scorso millennio, per poter registrare un brano musicale era per forza necessario recarsi in uno studio di registrazione per avere accesso a strumenti di altissima qualità (e prezzo). Oggi basta un PC e del hardware generalmente accessibile.

Il desiderio di innovare e migliorare la propria capacità di lavoro nasce da un’esigenza (per fare un esempio ineluttabile: Ctrl-Z)

Ma allora, le IA sono la stessa cosa, no?

Non esattamente.

Le IA generative non stanno innovando: stanno trasformando il lavoro di migliaia di artisti per offrire, in cambio, dei surrogati statisticamente prossimi alla desiderata.

È indubbio che il risultato di oggi, a distanza di un anno, non sia paragonabile a quello che abbiamo visto ad inizio decennio (2020’s), tuttavia resta un elaborato statistico.

Un elaborato – per non dire “surrogato” – che non è evoluzione di una necessità.

“Ma ora puoi cambiare lo sfondo alle fotografie con un solo click di Photoshop!”

Il Chroma Key, o più comunemente detto “Green Screen” è una tecnica cinematografica di cui abbiamo le prime tracce nel 1898, nata da una necessità: inserire nello sfondo qualcosa che non era presente.

Con l’avanzare della tecnologia, il Chroma Key oggi è alla portata di tutti, dagli Youtuber al cinema, e i risultati possiamo apprezzarli chiaramente.

Si è partiti con un’esigenza, un bisogno: un desiderio.

Personalmente, non sono capace di immaginarmi un “bisogno” delle IA generative. Lo dico da collezionista di opere minori, di “nicchia” se vogliamo.

“Oggi non hai più bisogno dell’artista: con un prompt puoi avere tutte le immagini che vuoi!”

La realtà è che per avere la possibilità di creare qualcosa dal “nulla”, sono state raccolte e catalogate centinaia di migliaia di immagini di artisti che hanno creato i propri contenuti e li hanno resi pubblicamente disponibili al mondo (che non significa averli resi di “pubblico dominio” – n.d.a.). Senza queste persone, senza i milioni di ore/uomo di lavoro che sono servite a creare questi dati, senza Internet, senza i Social Media, senza il Cloud, le Intelligenze Artificiali Generative non sarebbero in grado di creare assolutamente nulla.

O sarebbero ancora ai livelli dei racconti che possono essere letti in “Cheap Complex Devices”, una raccolta datata 2002 di racconti “scritti da macchine”.

Distinguiamo quindi due cose.

L’Intelligenza Artificiale, intesa come quel ramo della scienza che aspira ad emulare il pensiero naturale, è spinta avanti dal “desiderio” di creare un algoritmo generale in grado di pensare come un essere umano. Sebbene il Marketing e i Media spingano la terminologia e l’affermazione che “siamo sull’orlo di un grande passo evolutivo verso una IA Generale”, il mio sentore è che siamo talmente inebetiti da questo tipo di comunicazione (e altri fattori sociali) che falliremmo noi stessi il test di Turing.

Le IA Generative come Midjourney, Stable Diffusion, Dall-E, ChatGPT… non sono nate dall’esigenza di creator, illustratori e fotografi. Sono nate come esperimenti che necessitavano di avere un’applicazione nel sistema economico per sostenersi: infatti sono adottate sulla base di criteri economici e non funzionali.

Osservando dall’esterno i creator ed artisti che ho avuto occasione di conoscere, nessuno di loro avrebbe mai pensato di collezionare il lavoro di centinaia o migliaia di altri artisti per creare dei collage e farli passare come propri. La ragione è semplice: in ogni opera artistica, a prescindere dalla sua natura tradizionale o digitale, c’è una parte di chi l’ha creata: una visione, un sogno, un’idea.

Un messaggio.

Un algoritmo, per quanto affinato e capace di produrre un risultato “esteticamente” gradevole o d’impatto, non sarà mai in grado di inserire un “messaggio” all’interno del proprio lavoro, poiché non è in grado di comprendere il significato del messaggio stesso. Sarà in grado di emulare un’emozione perché nel suo database è presente un campione di riferimento statisticamente rilevante che permette di dire “questo è uno sguardo triste”. Ma sarà sempre un’approssimazione statistica, una percentuale.

Guardando la situazione da un punto di vista più lontano, è possibile notare un comportamento generale da parte di tutte le aziende che costruiscono algoritmi (OpenAI, Adobe, Apple, ecc.): oggi il loro “bisogno” è quello di avere ancora più dati, ancora più materiale per costruire i propri modelli. La compravendita di contenuti dai social media è diventato come il mercato rionale: chi ha dati, possiede l’offerta, le grandi società hanno la domanda. Una regola di mercato naturale, che ha origini millenarie.

Considerazioni

I “prompter” chiedono un elaborato statistico ad algoritmi che sono perfezionati di mese in mese, alimentati da nuovi contenuti generati da qualcuno che – verosimilmente – non sa nemmeno di averli offerti. Giocano ad una lotteria del rigurgito (statistico) in cui è facile vincere, ma in cui è difficile mantenere continuità.

Alcuni girano per le strade digitali alla ricerca di dati da comprare, altri mettono sul banco i propri social media e vendono i dati come se fosse frutta – più o meno avariata – e i consumatori giocano a parlare con Stupidità Artificiali che offrono loro un contentino surrogato per coronare un sogno che durerà qualche istante, fino al prompt successivo.

Gli artisti, nel frattempo, continuano a creare.

A proposito dell'Autore o Autrice

Sebastian Zdrojewski

Sebastian Zdrojewski

Founder, (He/Him)

Ha lavorato per 25 anni nel settore IT affrontando problemi di sicurezza informatica, privacy e protezione dei dati per le aziende. Nel 2017 fonda Rights Chain, un progetto che mira a fornire risorse e strumenti per il copyright e la protezione della proprietà intellettuale per i creatori di contenuti, gli artisti e le imprese.